la versione ufficiale rilasciata dal governo è che tutto a un tratto le raffinerie ei depositi di carburante di port au prince non rispondono ai criteri di sicurezza internazionali.
probabilmente non hanno mai risposto ai criteri di sicurezza internazionali.
radio nazioni unite dice invecce che è una tattica del governo haitiano per aumentare artificiosamente i prezzi del carburante, tenendo a secco per un paio i settimane i distributori e poi inondando il mercato a prezi aumentati (la stessa tattica dei narcotrafficanti).
ma noi della genia italiota ce credevamo più furbi, pensavamo "mo' li fregamo noi sti quattro burini negri, piamo un container, lo riempimo de gasolio e se lo portamo qua, tiè".
pippe
pippe poco previdenti (PPP)
affittato il camion e il container, comprato via telefono 10 m3 di gasolio, e cominciarono quelli che in gergo tecnico si chiamano cazzi.
- il camion può partire, ma mancano i documenti di trasporto, che per i carburanti sono tanti e complicati
- lettera all'ambasciatore haitiano a santo domingo, il cui contenuto era più o meno: "fatece passà cor camion pieno de gasolio, sennò rimanemo a secco e dobbiamo bloccare i progetti, cagionando la morte di poveri bambini negri denutriti"
a questo punto succede quello che succede nel cartone animato "le 12 fatiche di asterix", ovvero la ricerca del lasciapassare necessario per attraversare la frontiera.
l'ambasciatore, con aria contrita, ci manda al ministero delle finanze dove dovremo presentare la stessa lettera al direttore del servizio relativo il quale rilascera l'apposita autorizzazione.
al ministero delle finanze entriamo:
- alla reception ci mandano al servizio sdoganamento
- al servizio sdoganamento ci mandano al servizio riscossione tributi
- al servizio riscossione tributi ci rimandano alla reception (20 euro come quando ripassi dal via al monopoli)
- alla reception ci mandano alla direzione del reparto trasporti
- la direzione del reparto trasporti ci manda alla riscossione tributi
- la riscossione tributi allrga le braccia e ci dice che abbiamo sbagliato sede
usciamo
andiamo in un altro edificio del ministero delle finanze, dalla parte opposta della città.
e lì vediamo una certa quantità di facce bianche, il che ci fa pensare che forse siamo capitati nel posto giusto.
dopo un'attesa che rassomigliava alla fila per prendere le pagelle, con la stessa atmosfera di lieve angoscia, una signora dall'aria annoiata infine ci comunicò con una certa flemmma che no, non sarebbe stato possibile trasportare carburante a meno di non essere una compagnia petrolifera, per cui che ci rifornissimo al mercato nero e non rompessimo le palle.
ah.
e mo' che ce famo co' sto camion?
se lo damo sui denti?
no, lo rivendiamo a santo domingo perdendoci un migliaio di dollari.
e andiamo a rifornirci sul mercato nero, come del resto fanno tutti.
bello.
risolta questa faccenda i nostri si dissero che valeva la pena prendersi una serata libera e andare a mangiare in uno dei ristoranti più in di petion ville, frequentato da espatriati delle ong, delle nazioni unite, trafficanti di droga locali e papponi di vario genere.
solo in un ristorante potevano convivere gomito a gomito queste diverse categorie di personaggi.
mentre un'orchestrina domenicana suonava i successi franco califano e tutti gli astanti ballavano (papponi con espatriate, puttane con funzionari onu, mercanti d'armi con gente delle ong...) tra una saltimbocca alla romana e un lambì alla creola il nostro tavolo era composta da una buona metà degli expat di agire e da due personaggi curiosi, un creolo sulla quarantina e un vecchietto biancovestito.
il sottoscritto con la sua proverbiale capacità di trovarsi in situazioni che i più definirebbero "del cazzo" andò a finire seduto vicino al vecchietto biancovestito.
e un dubbio si affacciò alla mente:
o usa un'acqua di colonia alla vodka, o sta 'mbriaco.
le successive tre ore di conversazione mi fecero propendere per la seconda ipotesi.
trattavasi del rappresentante del governo haitiano con delega al turismo in santo domingo (?).
haitiano bianco, presentava affinità, negli attegiamenti e nei discorsi, con un boero sudafricano.
si acollò per l'intera serata e io vedevo gli sguardi solidali degli astanti, i cui occhi erano però pieni di sollievo nel vedere che tale sorte era toccata a me.
al quarto rum, che bevevo per fargli compagnia (e per farmi compagnia) si lanciò in un soliloquio riguardante la natura dell'haitiano, declamando il debito di civiltà che gli haitiani avevano con la francia, il fatto che come popolo non avessero coesione sociale e che solo una dittatura sanguinosa di stampo sovietico avrebbe potuto dare agli haitiani l'unità nazionale e il senso della comunità e della solidarietà (o lo sterminio completo della popolazione)
e, sarà stato il rum o la retorica fascista, m'aveva quasi convinto.
domenica 25 aprile 2010
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